
La foto qui a fianco è stata scattata quattro Natali fa. Ogni volta che la osservo mi tornano in mente tanti ricordi, proprio tanti. Sia "di coppia", che di "amicizie", di "situazioni", di me. Natale arriva e porta con sé il carico di riflessioni sull'anno che volge al termine.
E' inevitabile, odioso ma spontaneo.
Questa sarà la mia pallina natalizia di oggi. L'emozione di un vissuto in prima persona.
Il 2010 è stato teatro del mio prendere sul serio la mia strada. Questo è l'anno in cui ho scelto di dare spazio alla scrittura ogni giorno vissuto. E' stato l'anno in cui la letteratura, l'incontro con l'editoria si è rivelato più florido e ostico contemporaneamente.
Quattro anni fa manifestavo il mio amore per un uomo e per la letteratura appendendo all'albero venticinque lettere d'amore con venticinque citazioni tratte da altrettante poesie e romanzi.
Oggi, al mio albero virtuale appendo lumini di speranza e monili in ricordo. Si, in ricordo.
Di una persona che ha creduto tanto in me e nulla in sé stessa, tanto da voler scegliere la morte a causa dell'insostenibile peso del dolore nel suo incedere.
Nel mio ultimo viaggio in Friuli sono tornata in quella casa.
Ho guardato gli occhi di chi è rimasto, occhi pieni di dolore, lacrime, incredulità, rabbia, stanchezza, disperazione, nostalgia, trauma e ho guardato le foto ancora ovunque, foto di una donna sorridente, la cui risata risuona ancora con il rumore dei suoi zoccoli, quando saliva le scale e i ricci le si muovevano spettinati.
Dalla mia vecchia casa ho portato i libri che questa donna mi aveva regalato. Vorrei cercare ancora la sua voce, quei passaggi che l'avevano emozionata, quei pensieri che l'avevano distolta, anche solo per un attimo, dalla realtà piena di intricati inganni del destino. Avrei voluto averla accanto alla mia laurea.
Avrei voluto regalarle il libro che ho pubblicato, parlarne con lei, sentire la sua opinione.
Molto iniziò con le nostre chiacchiere dopo le ripetizioni al figlio, quel caffè triplo, quel parlare "intimo", quel sentire di capirsi, nonostante l'età. le differenze, le esperienze, i ruoli.
Questa persona, N. , quando ancora tanti cambiamenti non erano avvenuti, fu una delle prime ad esortarmi a prendere seriamente il mio amore per la scrittura, il mio vivere quotidiano attaccata al suo seno, incapace di stare un giorno senza buttare giù almeno una riga, una qualsiasi.
Ogni volta che penso a lei, ogni volta che l'immagine della sua morte mi si ripresenta davanti agli occhi, non posso smettere di ascoltare, nel mio cuore, una voce che urla senza pietà: "Mamma! Mamma! Dove sei?". Questa donna e questo bambino sono stati, per me, la prima, vera manifestazione di amicizia.
Lei era dalla mia parte e ora mi manca, perchè mi manca l'amica con cui parlare serenamente, senza timore. Mi manca quel momento di intimità fra donne, vissuto all'ombra del profumo del té, in cui parlare è un correre del tempo. Mi manca il confrontare i libri, il parlare con una persona amante dell'arte, di Van Gogh, della musica, dei classici.
Ero seduta sul divano, nella sua casa, meno di una settimana fa.
Mangiavo un amaretto e guardavo la porta che si apre verso il piano inferiore.
La guardavo e mi chiedevo: "Quando torna N.? Quando arriva? Dov'è?" . Non c'è.
Ancora non riesco ad andare in cimitero. Il solo vedere lo strazio negli occhi di un marito e di un figlio travolti da questa morte scelta, mi basta. In questo momento non ho la forza per reggere anche il mio dolore, la mia nostalgia, il mio lutto. So soltanto che non c'è. Che mi manca. E che fa parte di quei pensieri che posso avere qui, mentre addobbo il mio albero letterario natalizio.
L'ultimo libro di cui abbiamo parlato insieme è stato "Ritorno a casa" di R. Pilcher. . Lo rileggerò.
L'ultima volta che me ne parlò, mi chiese: "A te capita mai di immedesimarti a tal punto in un libro, all'interno delle sue stesse pagine, tanto da perdere la cognizione del tempo, da dimenticarti chi sei e che cos'hai intorno?". La guardai sentendomi scomoda. Molto scomoda. E chiusi gli occhi.
Nel mio albero appendo anche il ricordo di quei progetti editoriali che avrebbero potuto essere, ma non sono stati; di quelle speranze donate senza riserve a prospettive senza radici. Appendo il pensiero a quelle promesse non mantenute, alle bugie a cui ho creduto, agli articoli che ho scritto con passione e che non vedranno pubblicazione.
Alle amicizie che cammin facendo si sono perse per strada, oppure ho scelto di troncare, oppure non riesco a dimenticare, perché ancora tanto avrei da dire.
Mi torna in mente una persona verso cui, nonostante gli anni, provo ancora molta, sincera, sentita rabbia.
E' solo la rabbia nei suoi confronti che mi tiene legata. Rabbia che, tra l'altro, non riesco a manifestare in toto e non avrebbe nemmeno senso esprimere perché la risposta sarebbe prestampata.
Avrei tante cose da dire a questa persona e ogni volta che ci provo alla fine non riesco mai ad esprimermi fino in fondo. E' sciocco ma sono ancora nella condizione in cui aspetto delle scuse che mai arriveranno, perché l'altra parte non considera l'ipotesi di poter ferire le persone.
Indubbiamente, però, il "mio conto" sarebbe presentato senza difficoltà.
E' l'ultima traccia di quei rapporti malsani, mai paritari, violenti anche in amicizia, che ho vissuto anni fa.
Probabilmente quello che maggiormente mi tiene legata a questo ricordo è la necessità di capire i tanti perché di queste vicende.
So di avere molto in comune con questa persona, soprattutto per quanto riguarda i limiti e i lati negativi e so che sono qui gli agganci. Senza contare molto altro. So anche che abbiamo in comune la passione per la scrittura e per la lettura. Passione che mai condivideremo e mai abbiamo condiviso.
In questo momento so che sta vivendo un fittizio brutto momento.
Non riesco a dispiacermi per lei e non riesco nemmeno a credere che questo buio le regalerà l'umiltà per capire alcuni errori, come dovrebbe avvenire quando passi attraverso tunnel reali senza pietà, che ti scorticano l'anima a furia di mostrarti quante volte hai ferito, mancato, rifiutato, mentito o sbagliato, preteso o negato.
Lei mi chiama sempre "ragazzetta" e nega, a prescindere, qualsiasi passo io abbia fatto per arrivare a una maggiore indipendenza, libertà, maturità, senso di responsabilità. E' tipico di molte donne più grandi di me usare l'età per cercare di umiliare, offendere o sminuire quanto sono o quanto ho realizzato.
A volte riesco a riderci su.
Non mi feriscono queste cose, più che altro le trovo degradanti per chi le mette in atto.
Mi sarebbe piaciuto sentire dalle labbra di questa persona (che è sempre stata molto feroce nel giudicarmi "vittima" quando non riuscivo a prendere in mano le redini della mia vita) un complimento o anche meno. Un attestato di stima. Dopo tanto darmi dell'incapace, della "piattola", della nullità, della vittima, mi sarebbe piaciuto sentirla ricredersi oppure ammettere... tante cose.
Per me è importante dire questo, perchè fa parte del mio percorso per lasciare andare.
Per togliermi peso.
In questo mio speciale albero letterario non posso non appendere un ninnolo in ricordo di tutte quelle porte che rimarranno chiuse, da cui mai avrò riconoscimento. E' un ricordo-simbolo.
Mi indica una strada, del terreno fertile su cui lavorare dentro di me per imparare ancora molto.
E' inevitabile, odioso ma spontaneo.
Questa sarà la mia pallina natalizia di oggi. L'emozione di un vissuto in prima persona.
Il 2010 è stato teatro del mio prendere sul serio la mia strada. Questo è l'anno in cui ho scelto di dare spazio alla scrittura ogni giorno vissuto. E' stato l'anno in cui la letteratura, l'incontro con l'editoria si è rivelato più florido e ostico contemporaneamente.
Quattro anni fa manifestavo il mio amore per un uomo e per la letteratura appendendo all'albero venticinque lettere d'amore con venticinque citazioni tratte da altrettante poesie e romanzi.
Oggi, al mio albero virtuale appendo lumini di speranza e monili in ricordo. Si, in ricordo.
Di una persona che ha creduto tanto in me e nulla in sé stessa, tanto da voler scegliere la morte a causa dell'insostenibile peso del dolore nel suo incedere.
Nel mio ultimo viaggio in Friuli sono tornata in quella casa.
Ho guardato gli occhi di chi è rimasto, occhi pieni di dolore, lacrime, incredulità, rabbia, stanchezza, disperazione, nostalgia, trauma e ho guardato le foto ancora ovunque, foto di una donna sorridente, la cui risata risuona ancora con il rumore dei suoi zoccoli, quando saliva le scale e i ricci le si muovevano spettinati.
Dalla mia vecchia casa ho portato i libri che questa donna mi aveva regalato. Vorrei cercare ancora la sua voce, quei passaggi che l'avevano emozionata, quei pensieri che l'avevano distolta, anche solo per un attimo, dalla realtà piena di intricati inganni del destino. Avrei voluto averla accanto alla mia laurea.
Avrei voluto regalarle il libro che ho pubblicato, parlarne con lei, sentire la sua opinione.
Molto iniziò con le nostre chiacchiere dopo le ripetizioni al figlio, quel caffè triplo, quel parlare "intimo", quel sentire di capirsi, nonostante l'età. le differenze, le esperienze, i ruoli.
Questa persona, N. , quando ancora tanti cambiamenti non erano avvenuti, fu una delle prime ad esortarmi a prendere seriamente il mio amore per la scrittura, il mio vivere quotidiano attaccata al suo seno, incapace di stare un giorno senza buttare giù almeno una riga, una qualsiasi.
Ogni volta che penso a lei, ogni volta che l'immagine della sua morte mi si ripresenta davanti agli occhi, non posso smettere di ascoltare, nel mio cuore, una voce che urla senza pietà: "Mamma! Mamma! Dove sei?". Questa donna e questo bambino sono stati, per me, la prima, vera manifestazione di amicizia.
Lei era dalla mia parte e ora mi manca, perchè mi manca l'amica con cui parlare serenamente, senza timore. Mi manca quel momento di intimità fra donne, vissuto all'ombra del profumo del té, in cui parlare è un correre del tempo. Mi manca il confrontare i libri, il parlare con una persona amante dell'arte, di Van Gogh, della musica, dei classici.
Ero seduta sul divano, nella sua casa, meno di una settimana fa.
Mangiavo un amaretto e guardavo la porta che si apre verso il piano inferiore.
La guardavo e mi chiedevo: "Quando torna N.? Quando arriva? Dov'è?" . Non c'è.
Ancora non riesco ad andare in cimitero. Il solo vedere lo strazio negli occhi di un marito e di un figlio travolti da questa morte scelta, mi basta. In questo momento non ho la forza per reggere anche il mio dolore, la mia nostalgia, il mio lutto. So soltanto che non c'è. Che mi manca. E che fa parte di quei pensieri che posso avere qui, mentre addobbo il mio albero letterario natalizio.
L'ultimo libro di cui abbiamo parlato insieme è stato "Ritorno a casa" di R. Pilcher. . Lo rileggerò.
L'ultima volta che me ne parlò, mi chiese: "A te capita mai di immedesimarti a tal punto in un libro, all'interno delle sue stesse pagine, tanto da perdere la cognizione del tempo, da dimenticarti chi sei e che cos'hai intorno?". La guardai sentendomi scomoda. Molto scomoda. E chiusi gli occhi.
Nel mio albero appendo anche il ricordo di quei progetti editoriali che avrebbero potuto essere, ma non sono stati; di quelle speranze donate senza riserve a prospettive senza radici. Appendo il pensiero a quelle promesse non mantenute, alle bugie a cui ho creduto, agli articoli che ho scritto con passione e che non vedranno pubblicazione.
Alle amicizie che cammin facendo si sono perse per strada, oppure ho scelto di troncare, oppure non riesco a dimenticare, perché ancora tanto avrei da dire.
Mi torna in mente una persona verso cui, nonostante gli anni, provo ancora molta, sincera, sentita rabbia.
E' solo la rabbia nei suoi confronti che mi tiene legata. Rabbia che, tra l'altro, non riesco a manifestare in toto e non avrebbe nemmeno senso esprimere perché la risposta sarebbe prestampata.
Avrei tante cose da dire a questa persona e ogni volta che ci provo alla fine non riesco mai ad esprimermi fino in fondo. E' sciocco ma sono ancora nella condizione in cui aspetto delle scuse che mai arriveranno, perché l'altra parte non considera l'ipotesi di poter ferire le persone.
Indubbiamente, però, il "mio conto" sarebbe presentato senza difficoltà.
E' l'ultima traccia di quei rapporti malsani, mai paritari, violenti anche in amicizia, che ho vissuto anni fa.
Probabilmente quello che maggiormente mi tiene legata a questo ricordo è la necessità di capire i tanti perché di queste vicende.
So di avere molto in comune con questa persona, soprattutto per quanto riguarda i limiti e i lati negativi e so che sono qui gli agganci. Senza contare molto altro. So anche che abbiamo in comune la passione per la scrittura e per la lettura. Passione che mai condivideremo e mai abbiamo condiviso.
In questo momento so che sta vivendo un fittizio brutto momento.
Non riesco a dispiacermi per lei e non riesco nemmeno a credere che questo buio le regalerà l'umiltà per capire alcuni errori, come dovrebbe avvenire quando passi attraverso tunnel reali senza pietà, che ti scorticano l'anima a furia di mostrarti quante volte hai ferito, mancato, rifiutato, mentito o sbagliato, preteso o negato.
Lei mi chiama sempre "ragazzetta" e nega, a prescindere, qualsiasi passo io abbia fatto per arrivare a una maggiore indipendenza, libertà, maturità, senso di responsabilità. E' tipico di molte donne più grandi di me usare l'età per cercare di umiliare, offendere o sminuire quanto sono o quanto ho realizzato.
A volte riesco a riderci su.
Non mi feriscono queste cose, più che altro le trovo degradanti per chi le mette in atto.
Mi sarebbe piaciuto sentire dalle labbra di questa persona (che è sempre stata molto feroce nel giudicarmi "vittima" quando non riuscivo a prendere in mano le redini della mia vita) un complimento o anche meno. Un attestato di stima. Dopo tanto darmi dell'incapace, della "piattola", della nullità, della vittima, mi sarebbe piaciuto sentirla ricredersi oppure ammettere... tante cose.
Per me è importante dire questo, perchè fa parte del mio percorso per lasciare andare.
Per togliermi peso.
In questo mio speciale albero letterario non posso non appendere un ninnolo in ricordo di tutte quelle porte che rimarranno chiuse, da cui mai avrò riconoscimento. E' un ricordo-simbolo.
Mi indica una strada, del terreno fertile su cui lavorare dentro di me per imparare ancora molto.
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