
".... Questi impeti non sono molto forti, sembra all' anima di potersi calmare un pò, o per lo meno cerca qualche rimedio, non sapendo che cosa fare, con alcune penitenze. Altre volte l' impeto è cosi' forte che non si può fare né questo né quello, il corpo resta come morto, non si possono muovere né mani né piedi. (...)
Il Signore mentre ero in tale stato, volle alcune volte favorirmi con questa visione: vedevo vicino a me, dal lato sinistro, un angelo in forma corporea. (...) Non era grande, ma piccolo e molto bello (...): credo che siano quelli chiamati cherubini. (...) Gli vedevo nelle mani un lungo dardo d' oro, che sulla punta di ferro mi sembrava avesse un pò di fuoco. pareva che me lo configgesse a più riprese nel cuore, cosi' profondamente che giungeva fino alle viscere, e quando lo estraeva sembrava portarselo via, lasciandomi tutta infiammata di grande amore per Dio.
Il dolore della ferita era cosi vivido che mi faceva emettere quei gemiti (...) ma era cosi' grande la dolcezza che mi infondeva questo enorme dolore, che non c' era da desiderarne la fine, né l' anima poteva appagarsi d' altro che di Dio. Non è un dolore fisico di cui parlo, ma spirituale, anche se il corpo non tralascia di parteciparvi un pò, anzi molto... (...) Quando ha inizio la pena di cui parlo, sembra che il Signore rapisca l' anima e l' immerga nell' estasi; non c'è tempo, pertanto, di sentir pena nè di patire, perché subito sopraggiunge il godimento."
Tratto da: "Teresa, moun amour - Santa Teresa D' avila: l' estasi come un romanzo", Julia Kristeva
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