
Riprendiamo a conoscere la voce delle case editrici attraverso l'intervista a Robin Edizioni.
In quest'occasione le tematiche affrontate sono state diverse: letteratura, scrittori emergenti, editoria a pagamento, canali di distribuzione, stage non retribuiti, attenzione all'ambiente all'interno dell'iter di pubblicazione. Vi consiglio di ritagliarvi qualche minuto per leggere le risposte dell'editore perché, secondo me, nel loro essere a tratti provocatorie, potrebbero fornirci gli input "giusti" per dibattere sui temi "caldi" che avvolgono il mondo del lavoro e dell'editoria in questo preciso momento storico. Come sempre vi ricordo che il vostro contributo e le vostre riflessioni, obiezioni, domande sono preziose per me, per l'editore, per i lettori e i sognatori in cerca di notizie.
• Se Le e dicessi “letterarietà”, “letteratura” e “odierni scrittori emergenti”, Lei cosa mi risponderebbe?
Che non so cosa sia la letterarietà; che so benissimo cos’è la letteratura ma me lo terrò per me; che la definizione di “odierno scrittore emergente” mi fa venire l’orticaria. Il che è connesso con le prime due risposte.
• Il vostro sito internet (www.robinedizioni.it) è molto chiaro nei confronti delle persone che potrebbero desiderare di pubblicare con voi. Manca solo un’informazione cruciale: chiedete un contributo spese parziale o totale agli scrittori che scelgono di pubblicare con voi? Qual è il vostro pensiero in merito l’editoria a pagamento?
Il mio pensiero è che in un paese normale (non con il 40% di fedeltà alla lettura) con un mercato normale (non con il 75% del fatturato legato ad una sola catena di librerie) l’editore dovrebbe fare quello che ho fatto per anni: leggere, scegliere e pubblicare a rischio d’impresa. Nel paese in cui siamo e nel mercato che affrontiamo quotidianamente, il raggiungere il Punto Di Pareggio è già una conquista riservata a pochi titoli e a pochissime case editrici. Per cui tra la certezza di chiudere e la possibilità di continuare a fare il nostro mestiere continuando a leggere e scegliere, abbiamo scelto di proporre di condividere il rischio d’impresa. Non sempre. E su una base incontrovertibile: il nostro insidacabile giudizio. Il che, per l’appunto, non vuol dire essere degli editori a pagamento. Quello è un altro mestiere. Onorevole, presumo ,e legale, senza dubbio, ma fuori dalle nostre competenze. Chi paga per comprare tutta la tiratura, non avere un libro in distribuzione - e quindi neanche in libreria - e sostiene tutti i costi inerenti l’operazione più il guadagno dello stampatore (poiché questo è il suo mestiere vero) deve essere consapevole di quello che fa e si presume che abbia un contratto in mano che specifica cosa riceverà in cambio del suo denaro. Se il contratto prevede cose che poi non si verificano... il difetto non è nel sistema. Comunque la cosa non ci riguarda. Le nostre condizioni e i nostri contratti sono altra cosa. Ed è l’unico modo per continuare a dare voce agli autori italiani. esordienti o non, che a nostro avviso lo meritano. Infatti, e questo per la cronaca, noi riceviamo oltre 500 manoscritti l’anno e ne pubblichiamo una quarantina. Un editore a pagamento ne stamperebbe cinquecento. E sappiamo che c’è chi lo fa. L’alternativa naturalmente è quella di non pubblicare italiani e tantomeno esordienti e vivere felici.
• Distribuzione, pubblicità, presenza nelle fiere e nelle librerie: sono elementi garantiti a tutti gli scrittori che pubblicano con voi?
La distribuzione è quella delle Messaggerie ed è pronta ed efficientissima, la presenza nelle librerie non la può garantire nessuno perché non è di competenza dell’editore: è un diritto esclusivo del libraio tenere o no un testo in scaffale. Certo è però che nel nostro caso se il libro non c’è basta ordinarlo e la distribuzione lo invia immediatamente. Aggiungo la reperibilità su tutti portali di vendita on-line, primo tra tutti IBS, e, adesso, Amazon. La presenza nelle Fiere è un più per noi prima che per l’Autore, quindi va da sè. Della pubblicità non se ne parla nemmeno. I costi sono proibitivi e i ritorni inconsistenti. C’è in compenso un efficientissimo Ufficio Stampa. Poi sono le redazioni dei giornali che scelgono chi recensire e chi no. E ci vuole poco per capire qual è il meccanismo reale che gestisce questo aspetto. Basta vedere chi recensisce chi.
• “Il gioco dell’editore” è un gioco molto affascinante. Che risultati vi ha portato? Ci sono stati romanzi che non sono andati in stampa a causa del pessimo riscontro avuto nell’opinione dei lettori? Gli autori come hanno vissuto questo mettersi in gioco? Eventuali romanzi scartati sono stati poi comunque letti dalla vostra redazione ed è stato, eventualmente, suggerito qualche spunto per modifica e miglioramento?
Il “gioco” come la chiama lei non lo è affatto. E’ una cosa seria che ha alle spalle una società di capitali e che paga numerosi stipendi tutti i mesi. E che spesso alla proprietà costa un sacrificio annuale di compensazione capitale perduto. Per quanto riguarda i testi (non necessariamente solo romanzi) come già indicato, più del 90 per cento viene scartato. E’ incredibile la quantità di cose improponibili che ci vengono... proposte! Per quanto riguarda gli autori bisognerebbe scrivere un trattato di sociologia per descrivere il loro approccio alla cosa. In genere è molto emotivo e soprattutto carico di valenze che poco hanno a che fare con la scrittura in sé. Pochi capiscono che scrivere è soprattutto mestiere e artigianato e divertimento. E questi sono quelli bravi. Non parlano del loro ombelico, raccontano una storia e capiscono che divertersi a pubblicare un testo che comunque entra nella storia dell’editoria (p.e. alla Biblioteca Nazionale) potrebbe costar loro un terzo di uno stupido viaggio alle Seichelles di cui non resterebbe niente. Basta leggere il nostro catalogo per capire che gli autori si fidelizzano, con noi. All’inizio si innamorano e si fidanzano, poi ci sposano. E poi diventiamo anche amici. Niente di nuovo sotto il sole, insomma. Per i testi scartati non suggeriamo niente. Ognuno è padrone e felice di quello che ha scritto. Inoltre per fare questo ci sono strutture apposite (le agenzie letterarie) che si offrono di farlo. A pagamento. Noi lavoriamo solo i testi accettati e sotto la stretta approvazione dell’Autore. Ma il dialogo a volte è vivace, va detto. Anche perché per scartare un testo non è necessario leggerlo tutto... Nella maggior parte dei casi bastano trenta pagine. A volte invece è il finale che non è all’altezza... Chiudere un testo, specie se è buono, non è così facile. Qui ci permettiamo di dialogare prima di parlare di contratto. E quasi sempre funziona.
• Parliamo delle vostre edizioni di pregio. Come si concretizzano? Esiste un comitato per la scelta dei titoli idonei a questa speciale collana? Cambia il materiale con cui verrà confezionato il prodotto librario?
E’ una domanda standard? Suppongo non rivolta a noi nello specifico. Non abbiamo edizioni di pregio. Lo sono tutte. Esistono delle collane, che sono lo specchio del progetto editoriale e la cui struttura serve ad accompagnare l’Autore sul cammino giusto. Se chiamo una collana I Libri da Scoprire, il messaggio è evidente. Se la chiamo Biblioteca del Tempo o del Mistero, altrettanto. Per non parlare de I Luoghi del Delitto. Ma le tipografie, la carta e la qualità del progetto grafico (cioè la sua coerenza con la missione della collana) sono gli stessi per tutti.
• La vostra casa editrice ha a cuore aspetti “ecologici” della pubblicazione, come per esempio l’uso di determinati tipi di carta piuttosto che altri, al fine di preservare l’ambiente? Avete mai fatto parte di iniziative a sfondo umanitario-culturale per promuovere la scolarizzazione nei luoghi meno felici della Terra oppure in alcune zone della nostra stessa Italia?
I nostri libri sono dotati di marchio FSC. Quale luogo è meno felice, sulla Terra, dell’Italia, parlando di libri e di editoria e di scolarizzazione? Quelle iniziative non sono compito dell’imprenditore ma delle strutture che paghiamo con le tasse. Ciò detto, malgrado l’ira che l’assenza della res pubblica ci provoca, non lesiniamo mai dei volumi alla biblioteca di paese che ce li chiede. E neanche agli Istituti di Cultura all’estero. Quelli che dovrebbero essere finanziati dalla Farnesina. Quando capiremo che la presenza politica e commerciale di una paese presso un altro paese passa attraverso la diffusione della sua cultura e della sua lingua, sarà sempre troppo tardi. Comunque saranno arrivati prima di noi i francesi e i tedeschi. Gli inglesi sono già lì, da sempre.
• Qual è la sua opinione in merito agli stage non remunerati proposti di continuo ai giovani? Secondo lei questa strategia “del non pagare per il lavoro ottenuto”, pagherà, alla lunga, le aziende, oppure, di contro, sarà sempre più diffuso un certo lassismo nell’impegno e indifferenza nei confronti del prodotto, del marchio, del datore di lavoro e delle persone stesse? Si può superare la crisi senza pagare i lavoratori, truffando o modificando la realtà ad hoc?
Le domande sono due e tendenziosamente incastrate. Sulla prima parte la risposta è che noi siamo subissati di richieste di effettuare stage. Non li abbiamo mai chiesti noi. Per la cronaca specifico che tutta la Redazione è composta di ex stagisti che sono rimasti, sono stati assunti e nel tempo si sono avvicendati. Quindi con noi uno dei pricipi di base dello stage ha funzionato. Certo non potremmo mai assumere tutti quelli che non sono necessari oltre il loro periodo di stage. Che però ha come altro principio di base quello dell’apprendimento del mestiere. Ecco perché la domanda è mal posta. Non confondiamo lo stage in casa editrice con il contratto della Fiat. Chi viene a fare una stage ha già – di norma – pagato fior di quattrini per un master all’Università (altrimenti da noi non entra, perché non sarebbe in regola) in cui ha appreso un mucchio di nozioni e non ha imparato nulla. Come si fa un libro e che cosa vuol dire lavorare in redazione non lo sa di sicuro. E in tre mesi tutto quello che può fare è apprenderlo; più spesso rallentando il lavoro di redazione che aiutando a svolgerlo. Dove il suo apporto è prezioso – ed è qui la merce di scambio – è nella lettura e la revisione dei testi, spesso addirittura l’editing. Perché qui è la qualità della sua ... qualità che può risultare utile. E rivelatrice. Anche per lui, lo stagista. Aggiungo che il vivere tre mesi tra coetanei appassionati ed apportare la loro giovinezza e passione rende il tutto molto più vivo ed intelligente. E quando sul tavolo c’è intelligenza forse non c’è qualcos’altro e questo è una ricchezza per tutti. Per dovere di cronaca aggiungo che se di un buon trenta per cento poi perdiamo le tracce, il che vuol dire che hanno capito che non era il loro mestiere, di tutti gli altri sappiamo che – uscendo da questa redazione – un lavoro o la cosa che più gli somiglia l’hanno trovato. Chiedete alla Mondadori cosa fanno dei loro stagisti e che fine hanno fatto i dipendenti delle loro acquisite (Einaudi et similia).
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