
Il nostro laboratorio di scrittura creativa continua la sua strada negli incipit letterari. In molti abbiamo partecipato, scrivendo 6 righe introduttive, il cui tema era legato all'infanzia.
Prima di dire qualcosa al riguardo, vorrei proporvi una carrellata di "inizi", tratti dai Grandi della Letteratura.
Il motivo di questa scelta risiede nella volontà di dare qualcosa, stimolare riflessioni, avviare un'autocritica capace di generare migliorie e cambiamento, uscendo dagli schemi del "mi piace/non mi piace" oppure dal "ma io volevo che tu scrivessi così o colì".
Non sono affermazioni utili per chi desidera scrivere o perfezionare il proprio talento o attitudine o piacere.
Sono solo le propaggini di un gusto o una proiezione mentale. A noi, in questo momento "di lavoro", serve qualcosa di più succoso e sostanzioso.
Quindi iniziamo a parlare di Dante Alighieri e delle sue prime 6 righe del Primo Canto dell'Inferno. Lo scopo è mettere in risalto i suoi artefatti e stratagemmi letterari, l'uso voluto del lessico, la capacità di avvolgere il lettore sin da subito. Al termine vi indicherò un altro piccolo esercizio.
Perché proprio Dante?
Sarò banale: è letto sin dalla fine del Duecento. Siamo nel Duemila e passa.
Se ha retto otto secoli di storia, evidentemente qualche cosa di buono deve averlo avuto.
E' a nostra disposizione gratuitamente on line, tra l'altro, visto e considerato che il diritto d'autore è più che defunto. Infine, amo Dante e mi ha aiutato in moltissimi periodi, donandomi emozioni a non finire.
Vi parlerò con il cuore. E con le mie cinque copie della "Divina Commedia" a fianco. Per ora lascerò da parte la simbologia e tutti i significati reconditi e rimandi storici. :-) Ma solo per ora. :-)
Nel mezzo del cammin di nostra vita
mi ritrovai per una selva oscura
ché la diritta via era smarrita.
Ahi quanto a dir qual era è cosa dura
esta selva selvaggia e aspra e forte
che nel pensier rinova la paura!
L'incipit dantesco racconta una storia.
Intorno ai quarant'anni il protagonista vive un periodo di difficoltà profonda, incapace di vedere e tornare a percorrere una strada adatta alla sua persona, alle sue inclinazioni, al suo spirito, al suo credo.
Sin da subito evidenzia come questo percorso per ritrovare la strada sia stato arduo, duro e come il momento di vista passato si rivelasse ad ogni passo più aspro, difficile. E' stata un'esperienza talmente sconvolgente, così incredibilmente forte e devastante che il solo pensiero riverbera nell'uomo la paura.
Non lo trovate fantastico?
Mi sto ancora dibattendo con Lia per "rendere" la sua personale "selva selvaggia e aspra e forte" e costui, in sei righe, ha reso il mondo!
Mi direte: ma lui è Dante! Certo, è Dante.
Ma: amen!
Noi siamo noi e possiamo imparare da lui. Come? Prendiamo riga per riga.
"Nel mezzo del cammin di nostra vita" .
Vi ho evidenziato le tre parole-mondo che ritengo di particolare importanza per il nostro apprendimento. Sono tre parole - mezzo, cammin, nostra - capaci di coinvolgere immediatamente.
I testi che ho a disposizione, in particolare "Dante Alighieri - La Divina Commedia. Collana: La grande Letteratura Italiana, Fabbri Editori" dedica una pagina intera a quest'unica frase iniziale, soffermandosi in particolare sulla parola "mezzo".
Non solo viene raccontato il preciso momento storico in cui l'opera viene collocata, la simbologia cosmica e religiosa che immediatamente appare, ma amplia il discorso sottolineando il carattere epico, solenne e grandioso dell'incipit sgorgato proprio da questo "mezzo". Senza contare la fine citazione colta di Isaia che rimanda al viaggio agli inferi compiuto nel mezzo della sua vita.
Possiamo quindi appuntarci che ogni parola non è morta e chiusa nel suo interno, ma può essere ponte fra mondi, autori, realtà. Per questo motivo ho ritenuto estremamente interessanti i vostri pensieri al riguardo di alcune parole "sbagliate" che avevo lasciato consapevole nel mio incipit.
"Mezzo" determina una condizione umana e temporale, fornisce indicazioni precise: ovunque ci troviamo, di qualsiasi cosa si tratterà in futuro, sappiamo che il libro e la storia o il poema non parte dalla fine di un percorso o dal suo nascere in germoglio, bensì da una condizione mediana in cui tanto è stato fatto, ma ancora molto deve venire. Quindi questa sola e unica parola, anche considerata singolarmente, è capacissima, in autonomia, di generare curiosità, attesa.
Il lettore viene preso da questo "mezzo", solleticato. Dove porterà questo "mezzo"? A che cosa si riferisce? E' già avventura.
[ Gli amanti del fantasy, tra l'altro, conoscono perfettamente l'importanza del "mezzo". Della Terra di Mezzo. Esiste una terra di mezzo anche nella vita degli esseri umani, nell'arco cronologico dell'esistenza. ]
"Cammin" è un'altra parola-mondo.
Cammino, viaggio, avventura. I portoni si spalancano, impossibile resistervi. Cammino è percorso, travaglio, cadute, lotte, vita contro morte e morte contro vita, in tutti gli aspetti più drammatici, eroici, focosi, spirituali, emozionanti e amorosi del termine. Cammino è la vita di tutti noi, è un pellegrinaggio che conosciamo perché lo viviamo, ma è anche un varco verso un mondo. Cammino è un buon auspicio, sappiamo che per continuare la lettura dobbiamo preparare la nostra sacca.
Funzione dello scrittore è anche quella di sublimare e far volare.
Se a "cammin" uniamo "nel mezzo del" allora l'identificazione con lo scrittore, con il racconto è ancora facilitato. Il pubblico adulto riconosce immediatamente il periodo di vita a cui l'autore fa riferimento.
Lo riconosce e ne è partecipe.
Dante ancora non dice nulla sul che cosa sia successo in questo momento della sua vita, cos'ha fatto, chi ha incontrato, dov'è andato, di quale problema si trattava.
Eppure noi sappiamo, per istinto, che si tratta di un viaggio. Non un viaggio qualunque. Un viaggio per la vita.
Eppure noi sappiamo, per istinto, che si tratta di un viaggio. Non un viaggio qualunque. Un viaggio per la vita.
"Nostra" è una parola che io chiamo "il più geniale degli artefatti letterari presente nelle prime dieci parole di un libro". "Nostra" è un abbraccio. Non riguarda solo me, dice l'autore.
Bada bene che riguarda anche te.
Tieni a mente che ciò di cui andrò raccontando è comune alla vita degli uomini in generale.
Se vuoi continuare sappi che dovrai permettere a quanto leggerai di contaminarti e toccarti, perché quel che tratterò riguarda me, te, lui, loro, noi. Tutti noi. Da sempre e per sempre.
Tieni a mente che ciò di cui andrò raccontando è comune alla vita degli uomini in generale.
Se vuoi continuare sappi che dovrai permettere a quanto leggerai di contaminarti e toccarti, perché quel che tratterò riguarda me, te, lui, loro, noi. Tutti noi. Da sempre e per sempre.
Inoltre Dante non si pone su un piedistallo giudicante, ridendo: "Ah! Ah! Ah! Voi, stolti! Ascoltate la mia sapiente parola! Io sono uno scrittore illuminato e voi, poveri idioti, nulla sapete del Verbo!".
Purtroppo mi è accaduto di leggere testi in cui l'autore si poneva in questi termini e..... per quanto mi riguarda sono finiti sbattuti lontano nel giro qualche secondo, non letti e mai consigliati.
Parlare agli altri di tematiche comuni a tutti, implica uno stare sullo stesso piano.
Per far questo è importante riconoscere che quel che andremo a raccontare ci appartiene ma appartiene anche alle altre persone. pare banale, ma ci sono tanti meccanismi di protezione che si attivano scrivendo: questo "piano" è pericoloso perché è un'autostrada a tre corsie verso il nucleo di noi.
Epocale inizio, frastuono nell'anima, assordante e atterrito momento di riconoscimento.
Se vuoi scappare, lettore, questo è il momento. Perché sin dalla prossima frase inizierà il viaggio.
L'incipit dantesco è racchiuso in un verso, un endecasillabo, nemmeno una rima o una strofa. Sette parole.
Sette parole, ragazzi.
Di cui tre luminose come fari, capaci di solcare la coscienza e andare dritto nei reconditi dell'anima.
Non importa che la "Divina Commedia" sia un'opera di poesia.
Uno scrittore deve conoscere il potere delle parole e deve sapere come usarle.
Deve anche sapere che la sua penna, il suo inchiostro su carta, non è e non sarà fine a sé stesso, ma sarà canale per la catarsi. Non è possibile scrivere senza considerare questo aspetto. Non scriviamo per noi stessi. Il fine, la musa, l'obbiettivo, ci scavalcano e vanno oltre persino al singolo lettore.
Deve anche sapere che la sua penna, il suo inchiostro su carta, non è e non sarà fine a sé stesso, ma sarà canale per la catarsi. Non è possibile scrivere senza considerare questo aspetto. Non scriviamo per noi stessi. Il fine, la musa, l'obbiettivo, ci scavalcano e vanno oltre persino al singolo lettore.
Devono arrivare al nocciolo dell'umanità.
Ogni aspirante scrittore non può esimersi dal riflettere su questo.
Essere scrittori significa andare là dove fa paura, portando con sé l'umana mole di titubanze, bassezze, ritrosie, per poi tornare con cicatrici di guerra che raccontano un viaggio fantastico, contro draghi ed eserciti di preconcetti, scelte sbagliate, eredità incancellabili, tenendo il mano il tesoro di una nuova esistenza, di nuovi modi, nuova fede, nuova capacità di amare, essere, esistere, vivere e morire.
Per oggi mi fermo qui.
Ma vi chiedo di iniziare a fare uno sforzo in più e di parlarne insieme.
Pensate, in questi giorni, a quanto vi ho detto e pensate a come arricchire i vostri incipit con questi stimoli che vi ho portato.
Non scrivete ancora nulla, semplicemente dedicate dieci minuti a chiedervi se la storia, se l'incipit che avete pubblicato ha qualche tratto universale e se la vostra voce può toccare le anime di molti.
A voi un piccolo regalo: Roberto Benigni e il Primo Canto dell'Inferno.
A voi un piccolo regalo: Roberto Benigni e il Primo Canto dell'Inferno.
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