
Nello scorso post - "Parto verso i cambiamenti" - qualcuno di voi mi ha chiesto di parlare di me, di raccontare qualche esperienza, di condividere le mie emozioni per confrontarci insieme. Questo blog è nato con l'intenzione di racchiudere riflessioni su libri e aspetti della cultura, tenendo fuori le parti di me e della mia vita più private e più intime perché non desideravo sottoporle a giudizio o critica. Non ho ancora trovato un libro estivo decente, fatto salvo per "La donna delle rose" di Charlotte Link, quindi, non avendo molto su cui impostare un articolo, ho deciso di coinvolgervi nelle novità estive della mia vita. Questo mio periodo di vita si potrebbe chiamare "la mia ricerca della felicità".
Ci lasceremo indietro un appartamento colmo di muffa, un quartiere abusivo e soffocante, la mancanza di intimità in tutti i sensi. Il nuovo quartiere è meglio servito e collegato, ci sono molti negozi sotto casa, ma è distante quanto basta dalle arterie più trafficate e polverose. Il condominio di fronte è lontano cento metri.
Ci sono giardini e possibilità di soddisfare bisogni e necessità stringenti nell'arco di pochi passi. Non saremo obbligati all'uso dell'auto per la spesa. Con il tempo ci iscriveremo alle liste civili dei conviventi. Un piccolo passo verso il sogno rimandato del matrimonio. Una tutela in più per entrambi e per me, così distante da tutto il mio vecchio mondo. Fino ad allora ci divideremo fra pacchi, vacanze e studio per gli esami.
Non sono ancora riuscita a realizzare il fatto che non è un sogno. Mi sembra incredibile, ancora il mio sguardo cade sulle vetrine delle agenzie immobiliari per rendersi conto solo dopo che ormai non serve più. La ricerca è finita. Nella mia mente il concetto di "traballante, incerto, insicuro" è fissato con l'Attak.
So che nessuno ci può togliere questo nuovo inizio, ma metto in conto contrattempi, ripensamenti, inganni, incidenti, brutalità improvvise. Lo faccio per cercare di non farmi cogliere impreparata nel caso in cui la situazione cambiasse e fossi costretta a cercare rimedi all'ultimo.
So che nessuno ci può togliere questo nuovo inizio, ma metto in conto contrattempi, ripensamenti, inganni, incidenti, brutalità improvvise. Lo faccio per cercare di non farmi cogliere impreparata nel caso in cui la situazione cambiasse e fossi costretta a cercare rimedi all'ultimo.
Lo so, qualcuno mi vorrebbe sempre sorridente e spensierata. Non lo sono da molto tempo. O meglio: lo sono a fasi alterne, a momenti, a sprazzi. Lo sono soprattutto quando sento di avere potere sulla mia vita, di riuscire a cambiare le cose, senza subire gli eventi passiva. Confido in questa novità e spero mi possa aiutare a respirare e a trovare nuova linfa per affrontare l'altro grande problema, ovvero la ricerca di un lavoro retribuito.
Il pensiero al forte investimento che abbiamo fatto mi mette molta ansia, anche perché per me la situazione è difficile: non ho uno stipendio fisso, nemmeno un'entrata una tantum nata da lavori occasionali. Vorrei poter contribuire di più. Sono fortunata perché ho accanto un uomo che non mi fa pesare l'aiuto economico che mi da, lo definisce "un gesto d'amore". Questa situazione, comunque, mi porta ad avere momenti di ansia davvero forti. Il mio obbiettivo è l'indipendenza, il non dover dare i resti a nessuno, il non rovinare l'amore per questioni economiche. Alcune donne ritengono i loro uomini dei bancomat.
Il pensiero al forte investimento che abbiamo fatto mi mette molta ansia, anche perché per me la situazione è difficile: non ho uno stipendio fisso, nemmeno un'entrata una tantum nata da lavori occasionali. Vorrei poter contribuire di più. Sono fortunata perché ho accanto un uomo che non mi fa pesare l'aiuto economico che mi da, lo definisce "un gesto d'amore". Questa situazione, comunque, mi porta ad avere momenti di ansia davvero forti. Il mio obbiettivo è l'indipendenza, il non dover dare i resti a nessuno, il non rovinare l'amore per questioni economiche. Alcune donne ritengono i loro uomini dei bancomat.
Per me non è affatto così.
Nell'ultimo periodo sono riuscita a gestire meglio questi momenti grazie a medicine contro nausee e malesseri e tecniche di rilassamento. All'inizio è stato molto più duro perché il mio stomaco e la mia testa, il mio cuore e la mia pressione ne hanno risentito moltissimo. Non ne ho parlato quasi con nessuno perché la sola idea di sentirmi dire le solite banalità, frasi fatte, filosofie del buon vivere mi faceva venire la nausea ancora prima di ascoltare la reale opinione delle persone. Ho sempre pensato che fosse facile parlare quando la propria situazione è pacatamente tranquilla, quando si ha una fede al dito e uno stipendio, quando mamma e papà ti regalano casa e ti vestono, spesano e coccolano in lungo e in largo, quando non si ha mai provato a mettere il naso fuori casa o a diventare adulti.
Conosco i dati sulla disoccupazione, so che il mio problema è comune a molti, ma in diversi momenti di questo anno e mezzo ho semplicemente pensato che non me ne importava (e non me ne importa) nulla degli altri o dell'ISTAT.
Quello che mi importa è riuscire ad uscire da questo stato di "sopravvivenza" e di dipendenza economica, di non perdere la mia dignità e la mia libertà di donna e di persona.
Quello che mi importa è dare un senso agli anni di studio, alle esperienze all'estero che ho fatto certa che mi sarebbero state riconosciute un giorno, nel momento della ricerca di lavoro.
Quello che mi importa è non perdere definitivamente la speranza nel futuro, in me e nelle persone.
Non spegnermi, non morire intimamente davanti al crollo di tutti i sogni e ideali che non sono evoluti in maniera matura, ma sono semplicemente stati blindati e bollati con la frase "non si può" o "non esiste", "non è permesso", "non a te". Ci sono stati giorni in cui ho faticato ad alzarmi dal letto, a trovare un senso alle mie giornate, a trovare la fiducia e lo slancio adatto per continuare ad inviare curriculum, ad inventarmi idee per questo blog, a credere che questo blog mi avrebbe aiutato ad inserirmi nel mondo del lavoro, a studiare aggrappandomi al detto "se studi hai più possibilità", a prendermi cura di me, a badare alla casa, a fare la spesa, ad essere amica e compagna in tutti i sensi di queste parole.
Per strada ho perso la scrittura. Mi chiedo quale sia stato il meccanismo che ha agito su di me, bloccando la mia penna. Sono state le tantissime critiche pesanti al mio scrivere? I tanti appunti, piovuti dal nulla per la maggior parte, sulla grammatica? La sensazione costante di essere "sotto osservazione"? La difficoltà nel credere nell'onestà del mondo editoriale, i tanti contatti con editori a pagamento, più o meno camuffati? Il caos costante che gravita intorno alla casa in cui vivo (per quel poco che manca)? Capire questo mi permetterà di fare dei passi per riappropriarmi di qualcosa che è mio. Mi sono trasferita per scrivere, per dare una chance a questa parte di me. Fa male sentirsi aridi, senza nulla da dire. Senza un vero perché.
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