
Blog, social media e web giornalismo: tre realtà in mutamento, tre nemici forse di nuovo amici. Molti giornalisti disprezzavano il blog e i blogger, sentendosi scavalcati da reporter senza iscrizione all'Albo. Se, fino a qualche mese, anno fa, la polemica fra giornalisti tradizionali e blogger era accesa (in libreria troviamo ancora libri su libri scritti e pubblicati con l'intento di contenere e sminuire la portata del cambiamento dei blog nella professione del giornalismo), oggi il mondo dei nuovi media è uno strumento in più per una professione bellissima e, ormai, molti passi oltre i dettami dell'Ordine, le pretese e le difficoltà delle tradizionali redazioni.
Come sapete, sto scrivendo la tesi per il master riguardo i nuovi media e le aziende. Una cospicua parte è dedicata ai blog e un paragrafo del capitolo (con riprese anche in altre sezioni) è interamente dedicato al mondo del giornalismo internazionale, al rapporto fra giornalisti e blog.
Mi è molto utile Twitter Factor di Augusto Valeriani, Laterza editore.
Nel mondo, i social media sono monitorati con apposite redazioni attive 24 ore su 24. Esistono dei portali che aggregano i blog dei giornalisti professionisti inviati nei luoghi più disparati, dall'Africa all'Asia. Giornalisti francesi, inglesi, americani, cinesi sfruttano il blog come strumento per non disperdere il materiale raccolto durante viaggi, reportage, incontri. Sul cartaceo, infatti, non si possono pubblicare più di un tot. numero di fotografie e online i video postati a persona sono limitati. Ma quante foto, quanti video, quante interviste può realizzare un reporter inviato in una zona di guerra?
Perché sprecarli, buttarli e non riutilizzarli, re-inventarli, farne tesoro?
L'assidua presenza dei grandi giornali e delle loro notizie sui principali social network permette di scavalcare il giornale cartaceo convogliando traffico verso il sito principale. Giornaliste americane e inglesi sono state travolte dal mondo dei social network comunicando pensieri e opinioni come normali utenti Twitter ma, non come rappresentati o voce della testata di riferimento. Questo ha causato loro il licenziamento clamoroso in tronco.
E in Italia? In Italia, l'Ordine dei giornalismi fatica a stare dietro a queste novità, restringendo ancora il campo a chi può accedere alla professione, aumentando le pretese degli articoli da scrivere per gli aspiranti pubblicisti (nel Lazio, per esempio siamo passati da 70 a 90 articoli pagati in due anni), senza includere le prestazioni a webzine online oppure redazioni online che ancora non sono diventate testate per i più disparati motivi. Se la situazione nostrana fosse "normale", questo traguardo numerico di articoli si potrebbe raggiungere agevolmente. Non è così. Senza contare le difficoltà oggettive che l'Ordine incontra nel tutelare i suoi iscritti: quanti giornalisti professionisti italiani, con anni di carriera alle spalle, vengono attualmente pagati 2,3,7 euro ad articolo? Cosa fa l'Ordine per costoro, concretamente?
Nel mondo, inoltre, una persona diventa giornalista dal momento in cui viene assunta in una testata. Non esistono tutti questi legacci e impedimenti alla professione basati su motivi "di casta" ed economici. Siamo indietro e siamo troppo impastati in dinamiche e leggi databili all'epoca fascista, ma ancora vigenti e attive nel condizionare lo sviluppo professionale di noi giovani.
Quanti giornalisti, in Italia, sfruttano il potenziale del web come fonte inesauribile di notizie? Può bastare il dare notizia della rilevanza di un avvenimento sui social network? Può bastare l'impostare la prima pagina, l'articolo di apertura della versione online di un qualsiasi giornale nazionale in base al buzz, passaparola vociante e insistente, su Facebook o Twitter? E' tutto qui il giornalismo 2.0 che siamo in grado di proporre? Quanti giornalisti hanno un blog, quanti sono realmente alfabetizzati in queste nuove tecnologie, aggiornati e abili nell'utilizzare tecniche e strumenti precisi, quanti sono sui social media, quanti utilizzano le loro esperienze professionali per ampliare i discorsi fatti nei loro articoli per le testate, anche online, nei loro canali personali? Come cambieranno le regole dell'Ordine quando il web 2.0 o 3.0 avrà sancito in maniera ancor più definitiva una nuova era per il giornalismo (che in altre parti del mondo già esiste)? Esisterà ancora l'Ordine fra qualche anno? Avrà ancora tanto "potere"? Servirà?
Un articolo pubblicato nell'era del web 2.0, inoltre, non mette l'ultima parola. Ne mette solo una, fra tante. E' parte di un dialogo in cui è altamente probabile l'incontro con persone che ne sanno più del giornalista stesso e possono confutare, parola per parola, ogni singola virgola che a scritto.
Nel web 2.0 non c'è spazio per i favori al tal parlamentare: le notizie sbucano fuori senza curarsi minimamente del favore che il tal direttore ha fatto al tal imprenditore. Nel web 2.0 le logiche mafiose che tanto contraddistinguono la mediocrità dei componenti principali del nostro Paese allo sfascio non possono esistere. Tanto meno il finanziamento statale al giornale avrà più senso e, forse, si potrà riacquistare la libertà di stampa non dovendo più nulla allo Stato, in termini economici.
Nel web 2.0 il monopolio editoriale e politico di alcune fazioni d'informazione potrebbe anche essere scavalcato. I nuovi utenti hanno a disposizione milioni di siti in cui cercare notizie e si fermano dove queste sono date nel modo più preciso, corretto e affine alle loro esigenze. I giornali di partito (di sinistra e di destra, sempre ammesso che abbia ancora senso utilizzare queste due parole di definizione politica) non potranno più esistere con le logiche che li hanno sorretti sino ad ora.
Ragazzi miei, qui c'è da lavorare tanto per la nostra libertà e per il nostro avanzamento nel mondo.
5 messages: