Entusiasmante, spettacolare e avvincente: queste sono le prime parole che mi vengono in mente pensando a Come una rosa d'inverno di Jennifer Donnelly. L'ho appena concluso e non posso aspettare domani: ve ne devo parlare. Ieri sera mi sono staccata da lui molto tardi. Ho ripreso la lettura oggi, alle 14:00, dicendomi: "Solo mezz'ora, giuro. Poi studio, lavo, vado, stiro". Sono quasi le 18:00 e solo adesso sono riuscita a strattonarmi via dall'ultima pagina (ringraziamenti inclusi). Questo, solo per inondare voi con il mio entusiasmo.
L'autrice non delude ma potenzia, amplia, esonda nella vita e nell'infinita scala di possibilità per ogni personaggio. Viaggio d'anima, fra continenti, solcando epoche storiche, culture e questioni d'onore.
Jennifer Donnelly è una scrittrice che sa il fatto suo e che ha avuto delle idee. Sa come tessere trame intrecciate ma, puntuali come pendole svizzere. Sa come frustrare il lettore. Sa come tenerlo avvinghiato, renderlo furioso nel procedere la lettura per capire dov'è andato a finire il suo personaggio principale, tanto amato, tanto approfondito, tanto umano.
Sa come dosare i colpi di scena. Sa come inserire in ogni pagina qualcosa per cui valga la pena continuare la lettura.
E' questo che si pretende da un tomo di quasi 900 pagine, no? Trovare in ognuna di esse un motivo valido per non abbandonarlo. Jennifer Donnelly conosce la lettrice e sa che il suo è un pubblico di donne selvagge, se non nei fatti, almeno nell'animo. Sa che la letteratura ha lo scopo di intrattenere, divertire, parlare dell'anima, consolare, permettere di viaggiare, scoprire e osare, se non nella realtà quotidiana, almeno nella fantasia. La sua non è una penna poetica, arzigogolata, volutamente complessa oppure "schiaffeggiante". Non deve dimostrare di appartenere al partito inserendo parole di stampo marxista, come accade per alcune penne italiane. Jennifer Donnelly si diverte. Io mi sono divertita con lei e, presumo, il terzo libro sarà ancora più spettacolare.
Come una rosa d'inverno è la degna continuazione de I giorni del tea e delle rose. Non solo, lo supera. De-ci-sa-men-te. La stessa Fiona viene abilmente surclassata dalla "rosa d'inverno". Se il primo romanzo era ambientato principalmente in Inghilterra e in America, questo include l'Africa, in particolare Nairobi, Mombasa e le coltivazioni di caffè, con aperture verso il Tibet.
La travagliata storia d'amore che regge tutto il romanzo è, infondo, solo una virgola all'interno del complesso panorama storico-culturale. Va da sé che, essendo un romanzo destinato a un vasto pubblico con la volontà di svago come principale motivazione, la trattazione di ambientazioni e temi sociali è calibrata al contesto e al target. Eppure riesce molto bene. A differenza de Il petalo cremisi e il petalo bianco, l'autrice ha rispetto per il lettore. Lo conduce nei vicoli, nelle case, nei pub, nei bordelli prendendolo per mano. Così come realizza situazioni ideali per valutare immobili, organizzare raccolte fondi, partecipare alle elezioni in Parlamento.
Non mi voglio soffermare sulla storia d'amore, sul lieto fine onnipresente nei libri della Donnelley. Vorrei sottolineare la particolarità della protagonista, India. Un medico. Una donna medico nel 1900 a Londra. Fantastico, non trovate? Non una fioraia, non una damigella, non una borghese annoiata, non una prostituta, non una governante. Una dottoressa. Giovane. Con la famiglia contro, un fidanzato psicopatico, senza un soldo. L'autrice dipinge il panorama medico dell'epoca, le difficoltà incontrate dalle donne che scelsero di intraprendere una carriera maschile, le malattie, gli strumenti, le cure. India non lavora in una clinica di lusso. Visita e riceve nei bassifondi. Addirittura in un cortile pieno di galline.
Che dire, poi, dell'inclusione delle donne nell'alpinismo? Questo si chiama avere idee. Immaginarsi qualcosa di diverso dal solito. Quante protagoniste che scalano l'Everest avete incontrato nei romanzi d'amore? Quante di queste, con una gamba amputata in seguito a una caduta dal cucuzzolo della montagna, decidono di mandare tutti al diavolo e di partire ugualmente, stampelle alla mano, per scalare l'Himalaya? In quanti romanzi ambientati nel periodo vittoriano vi hanno portato nelle colonie inglesi africane, nei progetti agricoli, nella costruzione della ferrovia?
Vogliamo parlare, poi, del protagonista maschile principale? Quanti eroi, quanti uomini di ogni giorno affrontano la difficoltà del fidarsi di una donna, la loro, a tal punto di raccontare tutto il loro passato, dando voce anche a quelle ferite putride e dolorosissime, come lo stupro? Jennifer Donnelley non fa alcuno sconto a nessuno dei suoi personaggi. Tutti perdono qualcosa di importante, tutti sono feriti, nell'animo e nel fisico, tutti si scontrano con gli imprevisti della vita. Jennifer Donnelly osa! Osa come pochi scrittori italiani sanno fare per davvero. Osa, capite? La sua eroina principale viene quasi sbranata dai leoni, un altro personaggio cardine piene preso a pistolettate e rimane invalido per tutta la vita eppure continua le sue lotte, nonostante tutto.
Detesto le recensioni in cui vengono ricopiate le quinte di copertina dei romanzi, condite da quattro frasi in croce scopiazzate da altri articoli online. Quando si incontrano romanzi come questo, secondo me, bisognerebbe fermare tutto e scriverlo. Non so come la censura non abbia bloccato questo libro. Forse non hanno ritenuto "pericolosa" la trama d'amore. Beati loro! Come una rosa d'inverno è, per chi ama la scrittura e sogna di diventare autore, una dichiarazione di guerra al conformismo, al piattume claudicante tipico della nostra pseudo letteratura che infesta le librerie. E' un'invito a superare le mode e i cliché, osando proporre al pubblico qualche innovazione, qualche punto di vista diverso, qualche idea.
In Come una rosa d'inverno ci sono i diamanti tanto quanto il fango. Ci sono donne e uomini con una profondità che spazia dalle più alte virtù agli istinti più nefasti alle azioni più abominevoli alla carità e amicizia più sincera. Che cosa vorreste di più da un libro, se non la possibilità di andare oltre la balorda proposta letteraria a cui siamo abituati nella maggior parte dei casi? Che cosa vorreste di più da un libro, se non la possibilità di scorgere che è possibile, che esiste la possibilità di trovare quell'idea, quel barlume, quel soffio di speranza che ci può portare fuori dalla palude di indifferenza nella quale cadiamo ogni giorno, inesorabilmente? Una fune, una liana, un appiglio su cui issarsi per scampare alla morte certa dell'anima, una fulgida luce che ci ricorda che esiste, sì, esiste, esiste per davvero la possibilità di pensare, inventare, creare, scrivere in una maniera diversa, lontana dal gregge politicante e asfittico che disinnesca ogni libero arbitrio.
Così, con ancora molte cose da concludere prima della partenza di domani, accarezzo la copertina del libro, sfoglio alla rinfusa le pagine, leggendo sprazzi di occasioni. Mi mancherà. E' sempre doloroso lasciare un libro che ti entusiasma tanto. Non è un caso che io abbia abbandonato le duecento pagine della Mazzantini e sia rimasta incollata nelle novecento della Donnelley. No, non è un caso.
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