
L'alluvione a Genova ha catalizzato l'attenzione di tutti noi in questi giorni.
Le polemiche, le grida: "Dimissioni!", i morti, i pianti spaventati, i bambini imprigionati, l'unico video, le foto macabre, le testimonianze dei disperati, le conferenze dei politici, le banalità dei geologi. Un carosello a metà strada fra il fanta calcio e la disperazione. Ogni volta che accadono queste tragedie annunciate, prevedibili, evitabili e banali, come solo il male lo sa essere, provo dei sentimenti di arrendevolezza. Lo capiremo mai?
E' così banale. Così banale.
Lo sappiamo da anni. Sappiamo che l'abusivismo, i condoni, gli interessi economici e politici non hanno solo devastato la nostra Terra, no. Ci stanno mettendo costantemente in pericolo. Lo sappiamo ma, forse, pensiamo: "Quando accadrà, ne riparleremo. Per ora guadagniamoci!".
Questo atteggiamento è un costo oneroso per il nostro Stato, che - ricordiamolo - ha già un debito pubblico esorbitante. Quanti miliardi ci vorranno per rimettere in sesto la Toscana e la Liguria, in particolare? Quanto costa la manutenzione ordinaria dell'ambiente?
Cosa costa di più: la tutela dell'ambiente, un programma di civilizzazione e alfabetizzazione ambientale per la popolazione e i tecnici oppure la ricostruzione di intere fette di regioni nelle infrastrutture, nelle case, nei servizi andati annacquati o demoliti? Quante volte è già successo, quante dovrà ancora accadere, quante vite dovremmo ancora perdere, quante zone dovranno essere smembrate, quante case in brandelli prima di pensare a una seria politica ambientale, prima di radere al suolo le care, vecchie abitudini targate Italia?
Questo atteggiamento è un costo oneroso per il nostro Stato, che - ricordiamolo - ha già un debito pubblico esorbitante. Quanti miliardi ci vorranno per rimettere in sesto la Toscana e la Liguria, in particolare? Quanto costa la manutenzione ordinaria dell'ambiente?
Cosa costa di più: la tutela dell'ambiente, un programma di civilizzazione e alfabetizzazione ambientale per la popolazione e i tecnici oppure la ricostruzione di intere fette di regioni nelle infrastrutture, nelle case, nei servizi andati annacquati o demoliti? Quante volte è già successo, quante dovrà ancora accadere, quante vite dovremmo ancora perdere, quante zone dovranno essere smembrate, quante case in brandelli prima di pensare a una seria politica ambientale, prima di radere al suolo le care, vecchie abitudini targate Italia?
Esiste un risarcimento adatto a chi ha perso un figlio per la pioggia?
Banalità. E' l'unica parola che mi viene in mente. Banalità. E' banale l'idea di tenere puliti i letti dei fiumi, di rispettare l'ambiente talmente tanto da non costruire case nei letti dei suoi torrenti, sulle pendici dei suoi vulcani, negli spazi delle foreste che drappeggiano i monti. E' banale dare la colpa a Tizio, a Caio, alla tal associazione, al tal imprenditore quando poi, nella concretezza dei fatti, nessuno pagherà per quanto accaduto. E quando dico "nessuno", intendo anche le persone comuni che hanno avvallato e potenziato la situazione. I proprietari di garage sotterranei trasformati in appartamenti subaffittati, per esempio.
Il problema siamo noi. Noi Italia, noi cittadini tutti. Noi e la nostra insulsa mentalità che se ne infischia se il proprio progetto arreca danno a qualcuno, perché l'unica cosa che conta realmente è la nostra volontà. L'Italia dei furbi e dei furbetti, degli ignoranti e analfabeti attaccati ai posti che contano. Degli indigenti che firmano e danno il consenso ad opere pericolose.
L'Italia della guerra civile che non si combatte con i fucili ma con il punteggio di chi frega di più l'altro. Noi, Italia, che non siamo nemmeno in grado di rispettare la banalità del codice della strada, del gettare l'immondizia negli appositi cassonetti. Noi, che nei letti dei fiumi buttiamo divani, televisioni e lavatrici. Noi che assumiamo incompetenti in ruoli di comando solo perché siamo pagati, possiamo trarre profitto, possiamo chiedere un favore grande tanto quanto se non di più. Noi che falsifichiamo le lauree e non assumiamo chi merita perché, magari, il candidato è un figlio d'operaio senza contatti politici o clericali importanti da mungere a più non posso, previo poi dare il deretano con gli interessi.
Non sono gli altri, siamo noi. Siamo noi che permettiamo ai disastri di accadere e siamo noi che viviamo di vittimismo e finto patriottismo. Altro che Amnesty International, altro che WWF, altro che Emergency. A noi non importa, realmente. Perché ogni giorno permettiamo, dal piccolo al grande, l'abuso del terreno, la flagellazione del nostro Stato.
Alla televisione non viene detto nulla di nuovo, nulla di diverso, nulla che non verrà detto fra un pò, alle falde della prossima tragedia. Sarà il Vesuvio a scatenare il prossimo giro di giostra, radendo al suolo i quartieri costruiti quasi sino al cratere? Sarà qualche altra valle che frana? Quel che sarà, sarà.
Prima di parlare di Berlusconi e di rivoluzione dovremmo capire che la rivoluzione la dobbiamo iniziare noi, dalle piccole cose ai piani regolatori alle strategie di tutela ambientale. L'uomo ha perso il contatto con la Natura. Non sappiamo nemmeno cosa significa costruire centri abitati in una zona risorgiva. O forse lo sappiamo. Conosciamo i rischi. Ma non ci importa. Non ci importa. Questo è il guaio: non ci importa. Poi, però, piangiamo i morti, invochiamo Dio, evochiamo mostri e biascichiamo "Dimissioni!". Oppure sfruttiamo la catastrofe per l'audience, le visite al proprio sito, la lievitazione della popolarità, il colpo di fortuna che ti porta nei salotti giusti, a dire scemenze con aria compita e addolorata, in attesa del sostanzioso assegno per la preziosa, inutile, opinione data alla nazione. Per tornare alla solita vita di sempre, con la classica indifferenza che ci contraddistingue tutti, con la banalità del vuoto, dell'assenza di pensiero, ragionamento, interesse, premura che permea il nostro Stato.
E lo Stato siamo noi.
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